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Come si è arrivati alla codifica

Il Tortello cremasco ha un ripieno tendenzialmente dolce, avvolto da una pasta ripiena preparata senza l’aggiunta di uova e comunemente chiamata “pasta matta”. Non si utilizzano le uova perché nelle cascine di campagna erano preziose e non si potevano usare per impastare.

Nella nostra ricetta codificata è consentito l’utilizzo solo di un uovo ogni kg di pasta, per chi avesse difficoltà ad impastare.

Ma le uova sono sconsigliate perché è preferibile la pasta matta.

Per quanto riguarda la farina la ricetta codificata prevede la farina bianca ma non esclude anche l’utilizzo della farina integrale, quella autentica di una volta con la crusca, che probabilmente era più facilmente reperibile all’interno delle cascine.

Per preparare l’impasto (che dovrà essere pronto il giorno prima) è necessario sminuzzare grossolanamente gli amaretti, caratteristici biscotti neri, molto antichi, impastati col cacao amaro, la cui fornitura solitamente si deve alla nota fabbrica dolciaria “Gallina” di Sant’Angelo Lodigiano.

Perché l’amaretto scuro e non quello classico?

Perché era più difficile trovare le mandorle amare e le armelline, che venivano fatte arrivare dalla Turchia e dalla Sicilia attraverso il porto commerciale di Venezia.

Secondo un’altra versione potrebbe avere origini austroungariche, come nella tradizione tirolese.

Aggiungere poi l’uva sultanina, tagliata al coltello, anch’ essa un ingrediente proveniente dalla Turchia e dalla Sicilia. Il cedro candito invece, a pezzetti, proveniva sia dalla Sicilia ma anche dalla vicina Cremona, in cui compariva già tra i frutti canditi della mostarda.

Segue l’aggiunta del liquore: come Confraternita aggiungiamo il Marsala Fine (vino liquoroso tipico del territorio con non più di un anno di invecchiamento) ma in alcune varianti si cita anche il Mistrà, liquore a forte gradazione alcolica, che ha la caratteristica dell’intenso profumo di anice e quindi è concesso.

Successivamente si unisce il Mostaccino, il biscotto tipico della città di Crema composto da otto spezie orientali, sempre derivanti dai traffici di fine Cinquecento/inizio Seicento: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, coriandolo, macis, anice stellato, semi carvi, pepe nero.

Questo biscotto, che conferisce all’impasto un sapore speziato, viene preparato solo ed esclusivamente nella città di Crema e ha una sua storia con diverse ipotesi sulla sua origine (visionabile sul nostro sito).

A questo punto aggiungere il Grana Padano (della nostra campagna) grattugiato, uova, un pizzico di sale, la scorza grattugiata di limone (facoltativa e non deve comunque essere invadente), noce moscata e qualche mentina di zucchero, opportunamente pestata.

Se il composto, lavorato esclusivamente con le mani, risultasse troppo umido unire il pangrattato, se invece risultasse troppo asciutto aggiungere un po’ di brodo.

Una volta preparato lasciare riposare almeno una notte.
Stendere intanto uno strato di pasta, dividendola in rettangoli e poi tagliare dei piccoli cerchi con un apposito strumento (in mancanza anche con un bicchiere). Appoggiare una piccola” presa” di ripieno e ripiegare a triangolo chiudendo a mano con i classici cinque pizzichi, come vuole la tradizione, anche se non esistono ad oggi testi storici che la confermino. Prova è che nei paesi limitrofi a Crema non si usavano (e non si usano tuttora, anche in diversi ristoranti) i cinque pizzichi, ma si chiudevano in modo più casalingo e rapido: Trescore, Moscazzano, Quintano, Capralba, Capergnanica (in cui si utilizzano i rebbi della forchetta).

È molto importante rispettare il rapporto pasta-ripieno: la pasta non deve essere né troppo sottile nè troppo spessa e viceversa il ripieno non deve essere eccessivo, per non risultare troppo dolce.

Una volta confezionati a mano i tortelli, lasciarli asciugare, in modo uniforme, solitamente su teli di lino o di cotone in un luogo asciutto senza sovrapporli.

Importante è anche il momento della cottura. In passato venivano cotti negli spazi dell’aia, dentro un pentolone che si usava per fare il bucato. Veniva scaldata parecchia acqua col debole fuoco di una fascina di legno. Oggi massaie e cuochi utilizzano grandi pentoloni con abbondante acqua in cui versare i tortelli delicatamente e lasciarli cuocere in modo lento e a fiamma bassa. Aggiungere eventualmente un filo d’olio per non farli attaccare.

Il tempo di cottura varia a seconda della consistenza della pasta. In genere è sui 15 minuti.

Per scolarli si utilizza una schiumarola e poi si condiscono in una terrina o marmitta capiente con burro versato insaporito dalle foglie di salvia (facoltative) e abbondante parmigiano.

La tipicità della ricetta codificata prevede la basgia, ceramica caratteristica che conteneva strati di tortelli alternati a strati di burro fuso (mai troppo dorato) e formaggio (Grana Padano). Si chiude il coperchio e si lascia riposare al caldo.

Il detto popolare ricorda che devono annegare nel burro e asciugarsi nel formaggio. Esistevano sia delle basgie nobiliari sia delle basgie più popolari.

Anche la Confraternita ha la sua basgia autografata che utilizza durante le conviviali.